giovedì 23 febbraio 2012

Cemetry Gates


 Un saluto a John Keats che oggi, centonovantuno anni fa, venticinquenne, se ne andava per sempre...


A dreaded sunny day
So I meet you at the cemetry gates
Keats and Yeats are on your side
A dreaded sunny day
So I meet you at the cemetry gates
Keats and Yeats are on your side
While Wilde is on mine
So we go inside and we gravely read the stones
All those people, all those lives
Where are they now?
With loves and hates
And passions just like mine
They were born
And then they lived
And then they died
Seems so unfair
I want to cry
You say: "Ere thrice the sun hath done
salutation to the dawn"
And you claim these words as your own
But I've read well and I've heard them said
A hundred times (maybe less, maybe more)
If you must write prose or poems
The words you use should be your own
Don't plagiarise or take 'on loan'
There's always someone, somewhere
With a big nose who knows
And who trips you up and laughs
When you fall
Who'll trip you up and laugh
When you fall
You say: "Ere long done do does did"
Words which could only be your own
And then produce the text
From whence was ripped
'Some dizzy whore', 1804
A dreaded sunny day
So let's go where we're happy
And I meet you at the cemetry gates
Oh Keats and Yeats are on your side
A dreaded sunny day
So let's go where we're wanted
And I meet you at the cemetry gates
Keats and Yeats are on your side
But you lose
'Cause weird lover Wilde is on mine
Sure!
The Smiths - Cemetery Gates- Rank, 1986

martedì 21 febbraio 2012

Il duello


 Non aspettai a lungo. Il giorno dopo, mentre lavoravo a un'elegia e rosicchiavo la penna in attesa di una rima, Švabrin bussò sotto la mia finestra. Lasciai la penna, presi la spada e gli uscii incontro.
- Perchè rimandare? - mi disse Švabrin: - non ci sorvegliano. scendiamo al fiume. Là nessuno ci disturberà.
Ci avviammo in silenzio. Dopo essere scesi per un ripido sentiero, ci fermammo proprio al fiume e snudammo le spade. Švabrin era più esperto di me, ma io ero più forte e più ardito, e Monsieur Beaupré, che un tempo era stato soldato, mi aveva dato alcune lezioni di scherma, delle quali profittai. Švabrin non si aspettava di trovare in me un avversario così pericoloso. Per lungo tempo non potemmo farci alcun male; infine, essendomi accorto che Švabrin si andava indebolendo, cominciai ad assalirlo con vivacità e lo sospinsi quasi fin proprio al fiume. A un tratto sentii il mio nome pronunciato ad alta voce. Mi voltai a guardare, e vidi Savel'ič che scendeva di corsa verso di me per lo scosceso sentiero...In quello stesso momento sentii una forte puntura al petto un po' più in basso della spalla destra, caddi e perdetti i sensi.

(Aleksandr Puškin, La figlia del capitano, 1836)

sabato 18 febbraio 2012

Annegato in una botte di vino di Malvasia...


Oggi, cinquecentotrentaquattro anni fa, la morte di Giorgio Plantageneto, I° Duca di Clarence


estratto dal "RICCARDO III" di William Shakespeare


ATTO I, SCENA IV

Londra. La Torre

...
CLARENCE Se amate mio fratello, non odiate me. Io sono suo fratello e l'amo con tutto il cuore. Se siete stati prezzolati, tornate indietro, così che abbiate soldo maggiore, e vi manderò da mio fratello di Gloucester, il quale, se mi risparmierete, vi pagherà assai meglio di quanto non vi pagherebbe Edoardo se gli portaste la notizia della mia morte.
SECONDO SICARIO T'inganni. Tuo fratello di Gloucester ti odia.
CLARENCE Oh, no, mi vuol bene. Egli, anzi, mi ha molto caro: andate a trovarlo da parte mia.
TUTT'E DUE I SICARI Sì, sì. Ci andremo.
CLARENCE E ditegli che quando il nostro augusto padre di York levò il braccio vittorioso a benedire i suoi tre figli e ci raccomandò, dal profondo dell'anima, di amarci l'un l'altro, era ben lontano dall'immaginare che il nostro reciproco affetto sarebbe venuto meno. Dite a Gloucester tutto questo, e vedrete c'egli piangerà.
PRIMO SICARIO Sì, piangerà macine da mulino, come ha insegnato a piangere a noi.
CLERENCE Non lo calunniate: egli ha l'animo gentile.
PRIMO SICARIO Già, proprio come la neve alla stagione del raccolto. Andiamo, vi sbagliate di grosso: è stato proprio lui che ci ha mandati qui per finirvi.
CLARENCE Non può essere: s'è messo a piangere a causa della mia fortuna avversa, m'ha tenuto stretto nelle sue braccia, ed ha giurato tra i singhiozzi che avrebbe fatto ogni cosa pur di liberarmi.
PRIMO SICARIO Ebbene, è proprio quello che vien facendo, dal momento che vi libera dal servaggio di questa terra e vi rimette alla felicità celeste.
SECONDO SICARIO Fate pace con Dio, perché dovete morire, mio signore.
CLARENCE E come può albergare nell'animo vostro il pio consiglio d'indurmi a far pace con Dio, quando le vostre anime son così cieche da mettersi entrambe in guerra con Dio a causa del delitto che vi proponete di commettere su di me? Ricordatevi, signori miei, che chi vi ha istigato a compiere quest'azione vi odierà, poi, proprio a causa di essa.
SECONDO SICARIO E che dovremmo fare?
CLARENCE Dovete lasciarvi intenerire, e salvar così l'anima vostra.
PRIMO SICARIO Lasciarci intenerire? ma è da vigliacchi, e da donne.
CLARENCE E il non lasciarsi intenerire, invece, è da bestie, da barbari, da demoni. Chi di voi, se fosse figlio d'un principe e fosse privo della libertà, com'io lo sono adesso, non si butterebbe in ginocchio a implorar grazia della vita, se si vedesse parar dinanzi due carnefici come voi? O amico, mi sembra di veder nei tuoi sguardi un resto di pietà. Se il tuo occhio non è salso come quello di un adulatore, vieni, inginocchiati presso di me, e supplica il mio favore, così come supplicheresti se ti trovassi nei miei panni. Qual è il pezzente mendico che non avrebbe pietà d'un principe, quand'egli fosse ridotto pezzente e mendico?
SECONDO SICARIO Guardatevi alle spalle, mio signore!
PRIMO SICARIO [Colpendolo di pugnale.] E prendete questa, e questa, e questa: e se non basterà, vi affogheremo nella botte di malvasia che sta lì dentro. [Exit con il cadavere.]
SECONDO SICARIO E' stata un'azione sanguinosa! e sbrigata senza pietà! Ah potessi, come Pilato, lavarmi le mani d'un delitto così infame!
Rientra il PRIMO SICARIO
PRIMO SICARIO Ehilà! che succede, non mi aiuti? per il cielo, il duca saprà quanto sei stato pigro.
SECONDO SICARIO
Preferirei che sapesse ch'io ho risparmiato suo fratello! Prendi tu i soldi e riferiscigli pure quel che ho detto: e cioè ch'io son pentito dell'uccisione del duca.
PRIMO SICARIO Non così io. Va' pure, vigliacco che sei! Beh, io intanto vado a nascondere il cadavere in qualche buco, fino a quando, almeno, il duca non dia ordine di sotterrarlo. E quando avrò preso il denaro, me ne andrò lontano da qui. La cosa si saprà in giro, ed è meglio che io cambi aria.
[Exeunt.]

venerdì 17 febbraio 2012

La reliquia della coda dell'asina


Lo condussero al rogo e la lingua in giova gli misero per non farlo parlare. Oggi, quattrocentoedodici anni fa la morte di Giordano Bruno.
Una decisione discutibile...



mercoledì 15 febbraio 2012

C'est bien dit


Bisogna avere moglie, figli, sostanze e soprattutto la salute, se si può; ma non attaccarvisi in maniera che vi dipenda la nostra felicità. Bisogna riservarsi una "retrobottega" tutta nostra, del tutto indipendente, nella quale stabilire la nostra vera libertà, il nostro principale ritiro e la nostra solitudine. Là noi dobbiamo trattenerci abitualmente con noi stessi, e tanto privatamente che nessuna conversazione o comunicazione con altri vi trovi luogo: ivi discorrere e ridere come se fossimo senza moglie, senza figli e senza sostanze, senza seguito e senza servitori, affinché quando verrà il momento di perderli, non ci riesca nuovo il farne a meno (Michel de Montaigne)

domenica 12 febbraio 2012

"Managia la tua facia de banditu"




 La storia di Zoto. Tratta dal "Manoscritto trovato a Saragozza" di Jan Potocki

Una domenica, quando incominciavano i vespri, tornai al portico della chiesa con una manciata di castagne che avevo comperato per me e i miei fratelli, e stavo dividendole quando vidi arrivare uno splendido tiro a sei, preceduto da due cavalli dello stesso colore che correvano in libertà, un lusso che ho visto soltanto in Sicilia. La portiera della carrozza si aprì, e ne vidi prima scendere un gentiluomo braciere, che diede il braccio a una bella dama, poi un abate e infine un ragazzino della mia età, grazioso d'aspetto e magnificamente vestito all'ungherese, come spesso si usava allora vestire i bambini. Il piccolo giustacuore era di velluto azzurro, ricamato in oro e guarnito di zibellino; gli scendeva fino a metà gamba e copriva anche una parte degli stivaletti, di marocchino giallo. Il berretto, anch'esso di velluto azzurro e guarnito di zibellino, era sormontato da un fiocco di perle che ricadeva su una spalla. La cintura era fatta di nappe e cordoncini d'oro, e la piccola sciabola era ornata di pietre preziose. Per finire, egli teneva in mano un libro di preghiere rilegato con placche d'oro.
Io fui così meravigliato di vedere un abito tanto bello su di un ragazzo della mia età che, non sapendo bene quel che facevo, andai da lui e gli offrii due castagne che avevo in mano, ma quel pessimo soggetto, invece di ricambiare il piccolo gesto d'amicizia che gli facevo, con tutta la forza del suo braccio mi diede il libro di preghiere sul naso. Ebbi l'occhio sinistro quasi pesto, e un fermaglio del libro essendo penetrato in una narice, la lacerò in modo che in un'istante fui coperto di sangue. Allora mi parve di sentire il signorino lanciare delle terribili urla, ma io avevo, per così dire, perduto conoscenza. Quando ripresi i sensi, mi trovavo presso la fontana del giardino, attorniato da mio padre e dai miei fratelli che mi lavavano il viso e cercavano di arrestare l'emorragia. Intanto, mentre ero ancora tutto insanguinato, vedemmo arrivare il signorino, seguito dal suo abate, dal gentiluomo braciere, e da due valletti, uno dei quali teneva un fascio di verghe. Il gentiluomo spiegò in poche parole che la signora principessa di Rocca-Fiorita esigeva che io fossi frustato a sangue in riparazione dello spavento che avevo causato a lei come al suo Principino, e senza indugio i valletti passarono all'esecuzione della sentenza. Mio padre, che temeva di perdere il suo asilo, dapprima non osò dir niente, ma poi, vedendo che mi si batteva senza pietà, non poté contenersi e, rivolgendosi al gentiluomo con l'accento stesso del furore soffocato, gli disse: "fatela finita, o altrimenti ricordatevi che ho assassinato persone che ne valevano dieci della vostra risma". Il gentiluomo, considerando che tali parole racchiudevano un profondo significato, ordinò di por fine al mio supplizio, ma, quando io ero ancora coricato sul ventre, il Principino si avvicinò e mi diede un calcio sul viso dicendomi: "Managia la tua facia de banditu".

giovedì 9 febbraio 2012

Les Hussards


Nel 1812, il Sig. J. prese una decisione discutibile. Tutto ebbe inizio quando si ritirò nella sua proprietà di Uladowka, in Podolia. Non usciva se non per andare a lavorare nella biblioteca di Krzemieniec. Era nevrastenico, in preda a frequenti depressioni e soffriva di dolorosissime nevralgie. Durante questi accessi di malinconia, staccò una fragola d'argento che adornava la sua teiera e, limandola giorno dopo giorno, ne fece una sfera. In novembre, la palla divenne delle dimensioni volute. Dopo averla fatta benedire dal cappellano del castello, la introdusse nella canna della sua pistola e si fece saltare le cervella...

martedì 7 febbraio 2012

Vasca di deprivazione sensoriale


Partita a carte. Che il suo avversario, Lord W., bluffasse o meno, poco importava. Comunque, lui, stava perdendo. Con stile, certo, ma stava pur sempre buscandole. Tra una risata a denti stretti e un impercettibile fremito che gli scuoteva il viso, G., che era ricco ma che si era anche giocato molto, capì che la sua amata barca a fondo piatto era irrimediabilmente perduta. G. era fatto così. Poteva, spendeva. Sul lago di Srinagar, nel Kashmir, si era innamorato di un tipo di imbarcazione che usano le popolazioni locali. Ne aveva fatto replicare una e l'aveva trasformata in "houseboat" dotata di ogni comfort e poi aveva pensato bene di ormeggiarla a Saint Tropez. Alcune parti erano in Lonsdaleite superdura ed era dotata di una vasca di deprivazione sensoriale. A suo modo era un artista. W. ci aveva messo gli occhi sopra ed alla fine era riuscito a spuntarla. "E' inutile che tra noi giochiamo dei soldi...", disse e così G. aveva messo sul piatto la sua mirabile, fantasmagorica barca ed ora era lì a vederla passare di mano. W. vinse ma alcuni giorni dopo prese una decisione discutibile: salpò con la barca a fondo piatto per la Corsica. Purtroppo tale tipo di imbarcazione non era concepita per la navigazione in mare aperto e W., miseramente, affondò...

Wendy Carlos, già Walter Carlos, è un'ottima fotografa di eclissi solare...(3)

Sottopasso di Wandsworth. Mattina. Freddissima. Una Jaguar nera si accosta. Scende Stan...
S.: "Andiamo dritti al pub qui all'angolo. Fa troppo freddo stamattina"
A.: "Non mi piace come hanno fatto diventare questo posto. Non che lo avessi mai frequentato troppo ma non riesco a farmi piacere questo tipo di architettura..."

lunedì 6 febbraio 2012

Wendy Carlos, già Walter Carlos, è un'ottima fotografa di eclissi solare...(2)

A.: "Stan? Tony..."
S.: "Ehi, Tony. Scusa il casino in sottofondo. Come? No, no, siamo a Londra..."
A.: "Stan, ascolta, dicevo ieri che ho tutto pronto. Bisogna che dai un'occhiata a tutto quanto. Non è un granchè. Insomma, penso che in un paio di ore tu possa farti una giusta idea su quello che potrebbe esserci da cambiare. Bada, cambiamenti non troppo radicali però..."
S.: "Sì, ci sarà da metter mano a qualcosa. Essenzialmente problemi di location...anche sui dialoghi però nutro qualche dubbio...sul nadsat intendo..."
A.: "Problemi di che tipo? Che la gente non sia preparata?"
S.: "Cose mie, pensieri miei. Sai che penso a voce alta... non ci far caso..."
A.: "Ah, d'accordo, allora mi tranquillizzo (ride). Sono fiducioso che si possa sistemare tutto..."
S.: "Certamente, abbiamo i migliori professionisti per sistemare tutto. Ce la farai domani, verso le 10, a trovarti a Wandsworth? Ti chiamerò dopo, lasciami il tuo numero. Sei in casa, no? Ti dirò dove esattamente. Ok, 0171..., poi?..."



Quattrocento colpi

 Ops, dimenticavo che oggi è l'80° anniversario della nascita di François Truffaut...

Les quatre cent coups...



Nella mente del lettore di romanzi

http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/441234/







domenica 5 febbraio 2012

Wendy Carlos, già Walter Carlos, è un'ottima fotografa di eclissi solare...(1)




S.: "Pronto..."
A.: "Stan, ciao sono Anthony"
S.: "Ehi, allora? Mi fa picere risentirti..."
A.: "Ti chiamavo per via della trasposizione. Insomma, c'ho pensato su e...direi che va bene, che si può fare..."
S.: "Uhm..."
A.: "Ne ho parlato con Kate e mi sono deciso. Si, lo so, è passato tanto ma sono fatto così, che devo dirti? Mi ci vuole un po' per prendere delle decisioni. Si... già... lo so, 5 anni (ride). Siamo ai primi febbraio del '67. Praticamente io ho tutto pronto, mi bastano pochi ritocchi...Si, si, so tutto della produzione che stai seguendo anzi, scusa per il disturbo..."
S.: "Si, sono decisamente incasinato. Facciamo che mi richiami domani, Anthony? Stessa ora....grazie"


sabato 4 febbraio 2012

Cavalcavamo in silenzio...



"Avete scritto il vostro testamento?", improvvisamente mi domandò Werner.
"No".
"E se rimarrete ucciso?...".
"Gli eredi si faranno vivi da soli".
"Possibile che non abbiate amici a cui vogliate inviare il vostro ultimo addio?...".
Scossi la testa.
"Possibile che non ci sia una donna al mondo a cui vogliate lasciare qualcosa per ricordo?...".
"Volete, dottore, che vi sveli la mia anima?...", gli risposi. "Vedete, sono sopravvissuto a quegli anni in cui si muore pronunciando il nome dell'amata e lasciando per ricordo all'amico una ciocca di capelli impomatati o non impomatati. Pensando alla morte imminente e possibile io penso soltanto a me stesso; altri non fanno neppure questo. Gli amici, che domani mi dimenticheranno, oppure, peggio, metteranno in giro sul mio conto Dio sa quali fandonie, le donne che, abbracciando un altro, rideranno di me per non destare in lui gelosia per l'estinto... che Dio li abbia in gloria! Dalla tempesta della vita ho tratto in salvo soltanto alcune idee e nessun sentimento. Da tanto tempo ormai vivo non col cuore, ma con la testa. Soppeso ed esamino le mie passioni e i miei atti con rigorosa curiosità, ma senza partecipazione. In me ci sono due uomini: uno che vive nel senso pieno della parola, l'altro che ragiona e lo giudica: il primo, forse, tra un'ora si congederà da voi e dal mondo per sempre, l'altro... l'altro... Guardate, dottore: vedete quelle tre figure che si stagliano sulla roccia a destra? Sono, credo, i nostri avversari..."







Il freddo influisce sulle letture?

Se in uno dei capitoli del romanzo che ho in questo momento sotto mano, si descrive una tempesta di neve tra le montagne del Caucaso, solo giornate come queste  aiutano a calarmi completamente nei panni del protagonista...

venerdì 3 febbraio 2012

Memories of green



Filmato con GoPro2 "uno scatto ogni 2", editato con Final Cut Pro X, 25fps"

Vox Daltrey...






Imagine a man
Not a child of any revolt
But a plain man tied up in life

Imagine the sand
Running out as he struts
Parading and fading, ignoring his wife

Imagine a road
So long looking backwards
You can't see where it really began

Imagine a load
So large and so smooth
That against it a man is an ant

And you will see the end
You will see the end

Imagine events
That occur everyday
Like a shooting or raping or a simple act of deceit

Imagine a fence
Around you as high as Prudential
Casting shadows, you can't see your feet

Imagine a girl
With long flowing hair
And the body of chalky perfection and truth

Imagine a past
That you wish you had lived
Full of heroes and villains and fools

And you will see the end
You will see the end
And you will see the end
You will see the end
Oh yeah

Imagine a man
Not a child of any revolt
But a man of today feeling new

Imagine a soul
So old it it is broken
And you will know your invention is you

And you will see the end
You will see the end
You will see the end
You will see the end
Oh yeah



Mikhail Vrubel


                                  Mikhail Vrubel, Portrait of an Officer (Pechorin on a Sofa), 1889


 I looked out over the square and saw Maksim Maksimich running towards us for all he was worth . . . In a few minutes he had reached us. He could barely catch his breath, beads of perspiration rolled down his face, damp strands of gray hair that had escaped from under his cap stuck to his forehead, and his knees shook. He was about to throw his arms around Pechorin's neck, but the latter extended his hand rather coldly, though his smile was pleasant enough. For a moment the captain was taken aback, then he eagerly gripped the hand with both of his. He was still unable to speak.
"This is a pleasure, dear Maksim Maksimich. How are you?" said Pechorin.
"And thou?...And you?..." faltered the old man, tears welling up in his eyes. "It's a long time . . . a very long time . . . But where are you off to?"
"On my way to Persia . . . and then farther..."
"Not immediately, I hope? Won't you stay awhile, my dear man? We haven't seen each other for so long . . ."
"I must go, Maksim Maksimich," was the reply.
"My God, what's the hurry? I have so much to tell you and so many questions to ask . . . How are things, anyway? Retired, eh? What have you been doing?"
"I've been bored stiff," replied Pechorin, smiling.
"Remember our life in the fort? Wonderful hunting country, wasn't it? How you loved to hunt! Remember Bela?"
Pechorin turned white a little and turned away.
"Yes, I remember," he said, deliberately yawning almost in the same breath.
Maksim Maksimich urged him to stay on for another hour or two. "We'll have a fine dinner," he said. "I have two pheasants and the Kakhetian here is excellent . . . not the same as in Georgia, of course, but the best to be had here. And we could talk . . . you'll tell me about your stay in St. Petersburg, won't you?"
"I really have nothing to tell, dear Maksim Maksimich. And I have to say goodbye now, for I must be off . . . In rather a hurry . . . It was kind of you not to have forgotten me," he added, taking the old man's hand.
The old man frowned. He was both grieved and hurt, though he did his best to conceal his feelings. "Forgotten!" he muttered. "No, I've forgotten nothing. Oh well, never mind . . . Only I didn't expect our meeting would be like this."
"Come, now," said Pechorin, embracing him in a friendly way. "I don't think I have changed. Ar any rate, it can't be helped. We all are destined to go our several ways. God knows whether we'll meet again." This he said as he climbed into the carriage and the coachman was already gathering up the reins.
"Wait a minute, wait a minute!" Maksim Maksimich suddenly shouted, holding the carriage door. "It completely slipped my mind . . . I still have your papers, Grigoriy Aleksandrovich . . . Been carrying them around with me . . . Thought I'd find you in Georgia, never dreaming the Lord would have us meet here . . . What do you want me to do with them?"
"Whatever you want," replied Pechorin. "Farewell!"
"So you are off to Persia . . . When do you expect to be back?" Maksim Maksimich shouted after him.
The carriage was already some distance off, but Pechorin waved in a way that could well be interpreted to mean: "I doubt whether I will return, nor is there any reason why I should!"

giovedì 2 febbraio 2012

Grigorij Aleksandrovic Pecorin

"Si chiamava... Grigorij Aleksandrovic Pecorin. Era un ragazzo in gamba, ve lo posso assicurare. Soltanto un po' strano"







Mi voltai  verso la piazza e scorsi Maksim Maksimyc che correva a perdifiato... Alcuni istanti dopo era già accanto a noi; respirava a stento, grondava sudore, ciocche bagnate di capelli grigi che gli spuntavano di sotto il berretto gli si erano appiccicate sulla fronte, gli tremavano le ginocchia... avrebbe voluto gettarsi al collo di Pecorin, ma questi, abbastanza freddamente, sebbene con un sorriso affabile, gli tese la mano. Il capitano per un attimo rimase interdetto, ma poi la afferrò avidamente con entrambe le sue: non era ancora in grado di parlare.
"Come sono contento, caro Maksim Maksimyc. Be', come state?" disse Pecorin.
"E... tu... e voi?", farfugliò il vecchio con le lacrime agli occhi... "quanti anni... da quanto tempo... dove siete diretto?..."
"Vado in Persia e poi più oltre..."
"Possibile che partiate subito?... Ma aspettate, carissimo!... Possibile che dobbiamo separarci subito? Non ci vediamo da tanto tempo..."
"Devo andare, Maksim Maksimyc", fu la risposta.
"Mio Dio, mio Dio! Ma dove andate tanto di fretta?... Avrei tante cose da dirvi... Tante cose da domandarvi... Vi siete dunque congedato?... Come mai?... Cosa avete fatto?...".
"Mi annoiavo!", rispose Pecorin sorridendo.
"Vi ricordate la nostra vita alla fortezza?... Splendido posto per la caccia!... Eravate un cacciatore appassionato... E Bela?..."
Pecorin impallidì impercettibilmente e voltò la faccia dall'altra parte...
"Sì, ricordo!", replicò quasi subito con uno sbadiglio forzato...
Maksim Maksimyc si diede a implorarlo di rimanere con lui altre due ore. "Faremo un pranzo magnifico", diceva, "ho due fagiani e il kachetìnskoe qui è splendido... si capisce non è come in Georgia, ma è di prima qualità... Parleremo un po'... mi racconterete della vostra vita a Pietroburgo... Eh?...".
"Non ho davvero niente da raccontare, caro Maksim Maksimyc... Addio, devo andare,,, Vado di fretta... Vi ringrazio di non avermi dimenticato...", aggiunse prendendolo per la mano.
Il vecchio aggrottò le ciglia... Era triste e arrabbiato, benchè si sforzasse di nasconderlo. "Dimenticato!", borbottò. "Io non ho dimenticato nulla... Ebbene, Dio sia con voi!... Non pensavo che ci saremmo riincontrato così...".
"Suvvia, basta, basta!", esclamò Pecorin abbracciandolo amichevolmente. "Non sono forse sempre lo stesso?... Che fare?... A ognuno la sua strada... Chissà se ci rivedremo ancora!...". Pronunciò queste parole ormai seduto in carrozza mentre il vetturale già sollevava le briglie.
"Ferma! Ferma!", si mise a urlare a un tratto Maksim Maksmyc aggrappandosi allo sportello della carrozza. "Mi ero completamente dimenticato... Mi sono rimaste le vostre carte, Grigorij Aleksandrovic... le porto sempre con me... pensavo di trovarvi in Georgia e guardate dove mai Dio ci ha concesso di incontrarci... cosa ne debbo fare?..."
"Fatene quel che volete!", rispose Pecorin. "Addio...".
"Dunque andate in Persia?... E quando ritornerete?...", gli gridò dietro Maksim Maksimyc...
La carrozza era ormai lontana, ma Pecorin fece un gesto con la mano che si sarebbe potuto tradurre così: "Ben difficilmente ritornerò! E poi, a che scopo?...".

Tratto da "Un eroe del nostro tempo" di Michail Jur'evič Lermontov